Sicurezza Acquatica
Spesso si è parlato e si parla di Sicurezza Acquatica in termini di “Sopravvivenza”.
Questo termine rimanda immediatamente alla possibilità di rimanere in vita in caso di incidente acquatico. Indica in modo inequivocabile la competenza acquatico-motoria necessaria per mettersi in salvo in caso di un piccolo/grande incidente acquatico.
Trovo adeguata la parola Sopravvivenza in fasce di età adulta ma non nella prima e seconda infanzia. L’inadeguatezza del termine in età evolutiva è data da un sott’inteso potenzialmente dannoso per uno sviluppo sereno della crescita del bambino e cioè, la pretesa che debba essere lo stesso bambino di prima infanzia a “salvarsi” in caso d’incidente, dopo essere stato “allenato” in modo compulsivo a girarsi in caso di cadute in acqua, come alcuni filmati nella rete ci fanno vedere.
Allo stesso tempo, queste pratiche nocive pretendono responsabilizzare un bambino, magari di pochi mesi, obbligandolo a dover diventare capace di badare a se stesso in un ambiente potenzialmente pericoloso, anzi, mortale, per la sua integrità psicofisica. Quando la responsabilità della sorveglianza e protezione del bambino (di qualunque età egli sia!) rimane sempre degli adulti, genitori in primis e altri delegati in secondo luogo, tate, insegnanti, ecc.
La prima chiave di risposta è sempre questa: la disponibilità continua dell’adulto alla sorveglianza, protezione e condivisione del tempo con il proprio figlio. I bambini non devono mai trovarsi in condizioni tali da rischiare di annegare per mancanza di sorveglianza!
Sgomberato il primo grande ostacolo della sopravvivenza, possiamo ora parlare di Prevenzione, un concetto strettamente collegato all’argomento e non ancora affrontato in modo esauriente per quanto riguarda l’incidente in prima infanzia. Quando inizia la prevenzione? La risposta è semplice: quando nasce un bambino. La prevenzione è un intero sistema di azioni messe in atto per evitare che l’incidente acquatico avvenga. Dicevamo che il primo aspetto della prevenzione è la Sorveglianza.
Un secondo punto importante da curare è la sicurezza dell’ambiente,: i bambini non devono poter accedere da soli ad ambienti nei quali possono trovare acqua anche di poche decine di centimetri di profondità (ad esempio, una vasca da bagno piena). Allo stesso modo in cui non devono poter accedere a scale, fornelli, coltelli, forbici, armi, medicinali, prodotti per la pulizia, ecc., ecc. E’ indispensabile che i bambini non abbiano libero accesso alle piscine, laghi, pozzi, vasche da bagno e a qualunque recipiente che possa contenere acqua o altri liquidi con oltre una decina di centimetri di profondità
Un terzo aspetto collegato al tema è l’educazione del bambino ad un complesso sistema di regole, che si basa su una fiducia reciproca coi/nei genitori e che comincia anche dai primi giorni di vita del bambino. Potremmo chiamarlo Educazione alla Sicurezza e comprende non solo la sicurezza acquatica, ma anche l’intero universo di comportamenti messi in atto dal bambino. Come si può immaginare, potremmo addentrarci e perderci nell’immenso territorio del comportamento umano, ma non è pretesa di questo contributo farlo; diremo, semplicemente che la sicurezza dei bambini nasce dal dialogo che comincia proprio nei primissimi giorni di vita e che lentamente si evolve con il bambino. Il dialogo crea la fiducia, e la coerenza dei comportamenti messi in atto dagli adulti da conferma alle attese dei bambini. Per ciò è tanto importante dare certezze fin dai primissimi giorni di vita del bambino con buone prese, un buon sostegno del bambino, movimenti lenti, certi e saldi al momento di cambiare posizioni, risposte rapide ai segnali di dispiacere che il bambino trasmette e che spesso non trovano sponda nell’adulto. Quel sottile sistema di comunicazione tra il bambino e gli adulti va creando solide fondamenta di fiducia che immediatamente e in futuro serviranno per rendere attendibili e veritiere le avvertenze e le indicazioni che l’adulto trasmette al momento di porre dei divieti salvavita.
La strada dell’educazione alla sicurezza è lunga e dinamica, e sottintende , da parte nostra, un continuo adattamento alla nuova disponibilità e competenze alle quali i bambini ci abituano giorno dopo giorno. Perciò è così importante sostenere le nostre parole continuamente con atti coerenti e soprattutto con una continua disponibilità ad una cura sicura del bambino.
E’ nostra responsabilità farli sentire continuamente sicuri. Renderci, quindi, credibili.
Anche se le parole possono sembrare ovvie , quante volte assistiamo a scene nelle quali i bambini camminano soli per strade, oppure scendono i cordoli da soli, con adulti che si trovano a molti metri di distanza e che non arriverebbero mai a fermarli nel caso decidessero di attraversare la strada?
Quante volte assistiamo a scene nelle quali bambini di pochi anni si tuffano da pedane mobili senza sorveglianza e senza un adulto che dia loro un comando e assistenza immediata? Oppure adulti che festeggiano e incoraggiano comportamenti al limite dell’estrema permissione? Certamente non possiamo dire che collaborino nel sostegno alla nascita di una coscienza di sicurezza nel bambino.
E’ fuori di discussione che questa coscienza di sicurezza nel bambino dipenderà dal sistema di permessi e divieti che il bambino fa suo attraverso la sua crescita e sviluppo e che l’aiuteranno a regolare il comportamento durante tutta la sua vita. Perciò è così importante che i bambini sappiano ciò che può nuocerli, che siano informati, che ci vedano continuamente rispettosi delle più elementari norme di convivenza e sicurezza, sia in acqua che in terra ferma, camminando che girando in macchina, da soli o in gruppo.
Dorothi Law Nolte diceva: “i bambini imparano di ciò che vivono, se i bambini vivono con la sicurezza, imparano ad avere fiducia in se stessi e nel prossimo.”
Per ciò è così importante il nostro lavoro, non solo perché crea risorse specifiche, utili in un eventuale momento di difficoltà in acqua; ma soprattutto per tutto un sistema di comportamenti e adattamenti che con il tempo si va creando nel bambino e anche nella famiglia e che porta le persone (adulti e piccini) ad avere una percezione più sottile del pericolo imminente e dei comportamenti rischiosi. Imparare ad aspettare il proprio turno, attendere un comando prima del tuffo, riflettere prima di intraprendere una traversata della vasca valutando lunghezza, competenza ed stanchezza, sono piccoli accorgimenti che il bambino interiorizza e porta con se anche in altri ambienti; e sono altrettanto importanti che le stesse competenze acquatico-motorie necessarie per mettersi in salvo in caso di incidente. Una vera e propria Formazione, deputata a creare una conoscenza e coscienza culturale tali da rendere le persone sensibili agli argomenti della sicurezza acquatica.
In sintesi, la sicurezza acquatica è un processo lungo, complesso e dinamico che richiede una continua partecipazione ed interazione dell’adulto e del bambino attraverso gli anni di crescita e sviluppo del piccolo.
Hugo Lavalle